Covid e dipendenze, dialogo con Carmela Manduzio, presidente dell’Associazione CAD Onlus

In che modo lo stress dovuto all’isolamento sociale e ad altri cambiamenti della vita correlati al COVID-19 ha potuto influenzare l’uso e l’abuso di sostanze e tutta la sfera delle nuove dipendenze “comportamentali”? Ne abbiamo parlato con Carmela Manduzio Presidente dell’Associazione CAD Onlus che gestisce a Milano il Servizio Multidisciplinare Integrato CAD, occupandosi di prevenzione, trattamento e riabilitazione di persone con problematiche di abuso e dipendenza da alcoolsostanze stupefacentifarmaci e comportamenti compulsivi quali il gioco d’azzardo patologico.

AFFRONTARE LA PAURA DEL CONTAGIO

“La prima sfida con cui ci siamo dovuti confrontare è stata quella di garantire da subito la continuità terapeutica con le persone già in carico e un’accoglienza che inevitabilmente doveva fare i conti con i vincoli imposti dal distanziamento sociale. Uno dei primi temi affrontati è stato quella della paura del contatto, legittimando spazi di riflessione necessari a dare voce a sentimenti e vissuti contrastanti, presenti sia nei pazienti che negli operatori, e facilitando percorsi di rielaborazione individuale e di gruppo capaci di generare soluzioni nuove e creative per portare avanti i percorsi di aiuto”, esordisce.

“Accogliere la paura del contagio ha significato in primo luogo legittimare una dimensione inevitabilmente presente, facendola uscire dalla sfera del non detto e permettendo di esplicitare che la distanza generata dalle restrizioni sociali imposte non era l’espressione di una paura del contatto personale, ma era legata a una dimensione di corresponsabilità verso il contesto sociale più ampio. Questo ha permesso ad esempio ai pazienti che hanno continuato a frequentare la nostra struttura, per l’assunzione delle terapie sostitutive, di accettare pazientemente le code in attesa del proprio turno, di rispettare le distanze precauzionali adottate nel corso dei colloqui vis à vis senza che si registrassero episodi di aggressività o di intolleranza alle regole”, prosegue Manduzio.

IL VALORE AGGIUNTO DI QUESTO PERIODO DI EMERGENZA: UN SENSO DI AUTORESPONSABILIZZAZIONE DIFFUSO

“Si avverte un sostanziale rispetto delle misure restrittive, che sono state accolte senza generare quelle situazioni di forte criticità che forse ci saremmo potuti aspettare da pazienti che, pur di alleviare le conseguenze fisiche e psicologiche del proprio stato di ritiro e della minor disponibilità di sostanze avrebbero potuto non preoccuparsi per la propria salute fisica e della possibilità di contrarre o diffondere il virus.  In questo caso viene spontaneo fare un parallelo con quanto accadde all’epoca del contagio AIDS in cui i tossicodipendenti erano refrattari a qualsiasi forma di precauzione verso sé stessi e verso l’incolumità degli altri, mentre ora registriamo un maggior senso di autotutela e di responsabilità”, spiega la presidente del CAD.

E aggiunge: “Il fatto che tra i nostri pazienti non sia stato registrato alcun caso di positività al COVID rappresenta un primo riscontro concreto rispetto ad un atteggiamento che nella maggior parte dei casi è stato di assoluta consapevolezza della necessità di aderire alle regole di una convivenza sociale drasticamente ridisegnata nel corso dell’emergenza”.

La storica sede del CAD

LA TRASFORMAZIONE DEI SETTING DI AIUTO TRADIZIONALI E LA SPERIMENTAZIONE DI STRATEGIE INNOVATIVE DI INTERVENTO

“Gli operatori hanno dovuto gioco forza ripensare alla gestione dei percorsi di accoglienza e terapeutici introducendo forme di sostegno a distanza, fino ad oggi considerate marginali. L’uso del telefono e delle piattaforme che consentono colloqui video a distanza poteva comportare dei rischi di disinvestimento nella relazione terapeutica. In realtà quello che abbiamo registrato è che il rapporto telefonico e tramite video ha rinforzato in gran parte dei casi la compliance, quasi come se la distanza avesse introdotto elementi di rassicurazione, rinforzando la motivazione e la voglia di mettersi in gioco. I pazienti in trattamento meno compromessi hanno vissuto questo periodo come una forma di contenimento, un evento esterno che li faceva sentire allineati “con gli altri”, compartecipi di un’esperienza dove paradossalmente si sentivano avvantaggiati perché già abituati a gestire criticità. Per alcuni la chiusura dei contesti sociali e l’obbligo di restare in casa ha rappresentato l’occasione per ripensare ai propri stili di vita“, racconta ancora Carmela Manduzio.

LE CRITICITÀ

“A fronte di tutto ciò gran parte delle persone in carico ha continuato a investire nel proprio percorso pur all’interno di una relazione a distanza. Altri, probabilmente con una motivazione ancora poco strutturata, hanno utilizzato lo stacco dovuto all’emergenza per minimizzare le proprie difficoltà come se la minor disponibilità di sostanze o di occasioni per fruire del gioco d’azzardo patologico avesse automaticamente risolto il problema della propria dipendenza”.

Le criticità maggiori le abbiamo registrate con i pazienti gravi. I centri di prima accoglienza non sono sempre riusciti ad adeguare i loro protocolli operativi senza dimenticare che i servizi non hanno potuto contare su un sistema sanitario a sua volta in crisi.
Infine la famiglia: la vicinanza forzata e prolungata ha reso più difficile la convivenza con i familiari e ha acuito i conflitti esistenti generando stress. In queste situazioni, il telefono è stato un mezzo che ha consentito agli operatori di intervenire, sostenere, cercando di decomprimere le situazioni per evitare che diventassero esplosive”.

L’EMERGENZA COME PALESTRA DI APPRENDIMENTO PER APRIRE A NUOVE RIFLESSIONI PER UN’OPERATIVITÀ DIVERSA

A fronte di queste considerazioni i dati raccolti sull’attività del Servizio Multidisciplinare Integrato CAD parlano di una sostanziale tenuta dell’operatività a fronte di una domanda che non è mai diminuita e che semmai ha subito un’impennata dopo la fine del lockdown. In questo caso la lettura delle conseguenze più generali che l’emergenza COVID ha avuto sul mondo delle dipendenze e su un eventuale coinvolgimento di nuove fasce di popolazione è ancora agli inizi e richiederà un’attenta analisi da parte dei servizi per intercettare l’emersione di domande di aiuto probabilmente ancora sommerse. 

“Il confronto all’interno della rete dei servizi rappresenterà un elemento chiave di capitalizzazione dell’esperienza. Nel corso dell’emergenza i servizi erano alle prese con processi di riorganizzazione interna e hanno dovuto mettere a punto dei protocolli di collaborazione operativa sui casi. Ora è tornato il tempo della riflessione comune”, afferma Manduzio.

IN QUESTO CONTESTO, LA RIFLESSIONE E L’IMPEGNO DEL CEAS

In questo periodo pur restando il contatto diretto l’obiettivo primario in una relazione di aiuto, la gestione dei percorsi di trattamento delle dipendenze è diventata più flessibile, arricchendosi di nuovi strumenti operativi, che all’inizio hanno rappresentato una scelta forzata, senza essere preceduta da una programmazione e da una formazione specifica.

Da questo punto di vista il CeAS intende reinvestire, nel confronto tra servizi, il patrimonio di conoscenze ed esperienze maturate negli anni durante la gestione dei servizi di ascolto telefonico dedicati alle dipendenze. La storica Linea Verde Droga e la più recente Helpline Dipendenze, promosse all’interno della partnership con Comune di Milano, che rappresentano un’esperienza unica nell’ambito del contesto metropolitano rispetto a come sia possibile creare occasioni di ascolto e accompagnamento a distanza facilmente fruibili dalla cittadinanza, in cui dar voce alla sofferenza legata alla dipendenza e iniziare a prefigurare dei percorsi di cambiamento.

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