Intervista con il nostro operatore Gabriele Destefani, coordinatore del progetto di accoglienza per profughi ucraini realizzato insieme alla Casa della Carità.
A marzo 2022, a poco meno di un mese dallo scoppio della guerra della Russia contro l’Ucraina, il CeAS – Centro Ambrosiano di Solidarietà e la Casa della Carità hanno avviato un progetto di accoglienza per i profughi ucraini scappati dal conflitto, realizzato negli spazi messi a disposizione dal Consorzio Molino San Gregorio nel quartiere di Cimiano.
Le persone accolte sono nella maggioranza dei casi donne con figli o nipoti e attualmente nel centro ci sono 38 ospiti in attesa dell’invio, da parte della Prefettura, di un altro nucleo di tre persone. Ne abbiamo parlato con Gabriele Destefani, operatore del CeAS e coordinatore del progetto.
Gabriele, com’è andato quest’anno con i profughi ucraini?

È stato un anno impegnativo, ma bello. Come équipe abbiamo dato il massimo, dando fondo alle nostre energie, cercando soluzioni fantasiose e attivando reti di volontariato, per poter rispondere ai bisogni di queste persone, anche se, ci siamo resi conto, noi possiamo arrivare fino a un certo punto. A livello personale, è stato un anno certamente faticoso, ma soddisfacente. L’esperienza di coordinatore mancava nel mio percorso professionale e, avendo io un profilo amministrativo-gestionale, mi è servita per capire meglio la relazione che si sviluppa con le persone accolte e alcune difficoltà e frustrazioni dei miei colleghi educatori.
C’è una storia che ti ha colpito in modo particolare?
Penso alla storia di Anastasia, il cui marito, la scorsa estate, era stato fatto prigioniero dall’esercito russo e portato in una colonia penale, con tutto ciò che ne consegue in termini di violenze e soprusi che ha potuto subire. Nel momento in cui Anastasia mi ha detto che il marito era stato imprigionato, onestamente ho dovuto abbassare un po’ lo sguardo, perché l’emozione mi ha colpito. Per mesi e mesi lei non ha avuto sue notizie, se non sparute lettere inviate alla famiglia, in Ucraina, attraverso la Croce Rossa. A inizio febbraio l’uomo è stato liberato, ma ora Anastasia vive con il terrore che lo rispediscano a combattere. “I nostri uomini sono carne da macello”, mi ha detto.
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